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mercoledì 16 febbraio 2011

Parliamo di Aids

E ora immaginiamo che ne parli il buon vecchio Ernesto, pardon, Oscar :-) "L’importanza di chiamarsi Aids" di Oscar Wilde* Davvero, non mi sembra possibile. Se è vero che il matrimonio può condurre a nefandezze terribili – che so, usare champagne di bassa qualità, ad esempio – certo questa questione non è da meno. Si può proprio dire, data l’evoluzione del caso, che gli strati inferiori della società non ci diano neanche il buon esempio, e qui ci dovremmo domandare, ma a cosa serviranno poi mai, allora? Se è vero che, come classe, non hanno la minima responsabilità delle loro malefatte, è realtà anche che questa notizia, a dire il vero oggettivamente positiva, ci permette di risparmiare la fatica di riporre in soffitta una sequenza infinita di ritratti di persone di colore, di omosessuali e di drogati – ah il buon vecchio assenzio dei miei amici francesi! e l’oppio, l’oppio dolce fumato, quella si che era classe…..- ritratti che avrebbero riempito le soffitte di Buckingham Palace, tante le riprovevoli figure e sfatte. Inoltre, dato per certo che è assurdo definire con regole precise quel che si deve leggere o no, è ovvio che più della metà della cultura moderna si fonde su quello che non si dovrebbe leggere: come questo giornale, appunto. E questa notizia, di conseguenza. Può creare una falsa impressione. Come i dentisti. Ricordo infatti che perfino dai dentisti si aveva paura di andare. Almeno il dentista era trasversale, non faceva differenze. Forse dovrei tenere un tono di più elevata moralità, in questo commento, ma, si sa, ciò non è giovevole per la salute, ma per la felicità, quindi preferisco tenere un distacco, un tono lieve, che più si confà a tutto questo, forse. Alla fione, non si tratta solo di un po’ di Bumburismo. Chi si inventa l’amico, e chi il virus. E tanto peggio per chi non ha il ritratto in soffitta. Poteva pensarci prima. Questa faccenda ha del surreale, innanzitutto, e ciò mi piace, non può essere altrimenti. Il piacere come condanna intrinseca, questo si che è piacevolmente imperfetto, come una sigaretta. E poco importa se ci siamo fumati, perdonate il gioco di parole, un’intera generazione. Io mi son salvato, se come è vero, tutto il mio genio l’ho messo nella vita; nella finzione, nell’invenzione, ci ho messo solo il talento: perché non inventare un altro virus allora? Se non altro sconfiggeremo la noia, e questo scopo mi sembra ben più nobile del mero arricchimento che sembra abbia spinto i colpevoli di quanto ho letto. Che dire di più? * Scrittore di teatro e non solo, appassionato di ritratti e soffitte, fortemente coinvolto personalmente nella vicenda

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